Il Diario di Viaggio di Maureen: sei mesi al Villaggio SOS di Lilongwe (parte 4)
Com’è la vita in un Villaggio SOS? Come si vive in uno dei paesi in cui la nostra associazione è operativa? A volte capita che un sostenitore abbia il desiderio di andare a trovare il bambino che ha adottato a distanza, un’esperienza che molti altri hanno raccontato positivamente. Con questa rubrica speriamo di dare un’ulteriore risposta a questa e altre domande. Nel 2011, Maureen e Martin hanno visitato il Villaggio SOS di Lilongwe, in Malawi. La loro esperienza è stata raccontata in un blog, che abbiamo pensato di riproporvi. In questo quarto capitolo, Martin continua la sua esperienza al Centro Medico SOS e la coppia fa amicizia con alcuni bambini del villaggio.
Ciao, io mi chiamo Hope.
È passata una settimana dal nostro arrivo a Lilongwe e io e Martin abbiamo fatto una serie di scoperte davvero interessanti. Qui i nomi dei bambini sono il riflesso delle aspirazioni e dei sentimenti dei genitori e si chiamano Hope, Precious, Peace, Fortune, Charity o Smart. Quando le madri e i padri parlano dei propri figli, utilizzano espressioni come “il mio primogenito”, “il mio secondogenito” o “l’ultimo”. Martin ha visitato il suo primo malato di AIDS e ha diagnosticato diversi casi di malaria. I più piccoli dei suoi pazienti hanno qualche timore quando scoprono che saranno visitati da un “dottore con la pelle bianca”.
Un giorno, dopo pranzo, l’autista che mi porta al centro professionale ha dato un passaggio anche a George, un ragazzo che non avrà più di 16 anni e ha già sofferto molto a causa di una forma di paralisi cerebrale. Ciononostante, George viene incoraggiato a essere indipendente e infatti, aggrappato alle sue stampelle, era determinato a percorrere un chilometro e mezzo a piedi per assistere a una partita di calcio. Così, l’autista ha accostato e caricato George e le sue stampelle sul retro del furgone. Lungo la strada, mi ha raccontato che il ragazzo è uno degli orfani che vive nel Villaggio SOS. Dopo questo primo passaggio, abbiamo rincontrato George anche sulla via del ritorno: era pieno di energie e desideroso di raccontare della partita.
Una clinica molto affollata.
Martin, che è specializzato in pediatria, ogni giorno mi racconta di quello che gli succede al Centro Medico SOS.
“I bambini di 2 anni sono meravigliosi. Arrivano nella sala visite accompagnati dai loro genitori e con i loro occhi spalancati e in preda al terrore. Poi, si mettono a piangere, perché non avevano mai visto un uomo bianco prima d’ora e credono che sia pericoloso. Molti dei pazienti vengono da lontano per farsi visitare e c’è sempre un bel viavai. Ci sono bambini malati di malaria, di Schistosomiasi” o di Tubercolosi, mentre circa il 15-20% della popolazione è affetta dal virus dell’HIV. Insomma, in Malawi il rischio che scoppi un’epidemia è costante. Spesso per le famiglie trovare il denaro con cui coprire le spese per le cure mediche è un problema; ciononostante i tecnici di laboratorio continuano a eseguire analisi del sangue, test al microscopio e visite ai raggi x, mentre in una stanza appositamente attrezzata un’infermiera prepara i test per l’HIV, i farmaci antiretrovirali e segue i malati.
Il centro dispone di apparecchiature di enorme valore ed è fantastico che medici e pazienti possano avervi accesso facilmente e servirsene. Per l’ambulatorio generico, è stato fissato un limite massimo di 200 pazienti a mattinata. L’altro giorno mi ha scritto mio fratello. Dice che secondo un articolo del Guardian in Malawi le flatulenze sono illegali. Spero solo che la pena sia una multa e non l’arresto! Qui non se ne è parlato, ma anche la crisi dei carburanti è stata ignorata fino a quando non è finita”.
Lo ammetto. Più volte sono stata tentata di aiutare Martin a non finire nei guai con la legge per colpa di questo particolare divieto, ma non molto tempo dopo con mio sommo disappunto ho scoperto che mentre nel resto del mondo si parlava del divieto di emettere flatulenze in pubblico, in realtà in Malawi si parlava di smaltimento dei rifiuti: qui, infatti, la parola “Chichewa” significa anche “bruciare la spazzatura”.
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Vuoi andare anche tu a trovare il bambino che hai adottato a distanza? Scrivi a adozioniadistanza@sositalia.it
Per maggiori informazioni:
- Versione originale (in Inglese, da SOS Villaggi dei Bambini UK);
- Il diario di Viaggio di Maureen (capitolo 1);
- Il diario di Viaggio di Maureen (capitolo 2);
- Il diario di Viaggio di Maureen (capitolo 3);
