Il vero volto degli immigrati, un reportage dalla Svezia
Siamo abituati a vederli in televisione, ora ammassati sulle carrette del mare, ora in coda in interminabili file presso centri di accoglienza e campi profughi, oppure anche nella vita di tutti i giorni, stancamente seduti sui sedili dell’autobus, per strada, magari in gruppi. Sono gli immigrati, quelli di cui tanti hanno paura, ma il cui passato nessuno conosce.
Immigrati: tutti delinquenti e malintenzionati?
Secondo l’opinione comune sembrerebbe di sì, le chiacchiere da bar o le discussione sui mezzi pubblici sembrerebbero confermarlo, la realtà dei fatti – però – è ben diversa. Così, per rispondere a questa domanda e sfatare qualche falso mito, Matilde Gattoni e Matteo Fagotto hanno realizzato un reportage, pubblicato sul sito web di Newsweek, per raccontare le storie di alcuni immigrati siriani: uomini d’affari, imprenditori di successo, medici e persino attori che hanno sacrificato tutto quello che avevano in nome della libertà, anche a costo di condurre vite invisibili ben lontane dai fasti a cui erano abituati. Ora, vivono in Europa, in Svezia (l’unico paese europeo a garantire loro un permesso di soggiorno permanente) lontani da amici, parenti, familiari e lontani dalla loro madrepatria, la Siria, una nazione che continua a essere dilaniata dalla guerra civile, un male che non fa distinzione sociale e colpisce senza distinzioni.
Dalla Siria alla Svezia: 3 storie.
Abu Moussa, ad esempio, era un attore di Damasco. Ora ha 29 anni e vive in un appartamento condiviso insieme ad altri quattro suoi connazionali. Allo scoppio della rivoluzione, Abu aveva deciso di diventare attivista e di occuparsi della comunicazione del movimento. Non ci volle molto tempo, però, prima che le autorità lo arrestassero e lo torturassero per poi costringerlo a entrare nelle fila dell’esercito di Assad. Grazie alle sue capacità di attore, Abu è riuscito miracolosamente a scappare per raggiungere la Svezia dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa. Suo fratello, invece, non è stato altrettanto fortunato e nessuno ha più avuto sue notizie da quando le forze del regime lo hanno arrestato facendo perdere ogni sua traccia.
Kamal, invece, di anni ne ha 44 e ora lavora come architetto a Malmo, dove vi si è trasferito 10 anni fa da Daraa, la sua città natale che aveva dovuto abbandonare perché era un attivista ricercato dal governo. Kamal è stato fortunato: non solo è riuscito a rifarsi una vita, ma ha anche ricevuto asilo in un periodo in cui il Presidente Assad era ancora considerato un liberale. Nonostante la distanza, Kamal continua a fare l’attivista e ora aiuta i nuovi immigrati siriani in Svezia e raccoglie soldi da inviare a quanti sono rimasti in patria. Agli immigrati consiglia di imparare al più presto lo svedese e di aiutare i loro connazionali a far uscire dalla crisi la Siria.
Vivere lontani dalla propria patria, significa anche vivere con il senso di colpa, come racconta Baraa, un ex studente di 25 anni che ora vuole fare della Svezia la sua nuova casa, non prima di aver completato il suo master in diritti umani.
“Quando a Damasco hanno iniziato a girare le pistole, ho capito che il mio lavoro di attivista era terminato, perché le armi non ci danno voce: ce la tolgono. A volte sento che andandomene ho deluso il mio paese. È come se avessi abbandonato una persona nel momento in cui aveva più bisogno di me. È una sensazione bruttissima.”
Queste sono solo alcune delle diverse storie narrate nel reportage di Newsweek, una raccolta di esperienze diverse, ma che condividono un elemento comune: per tutti i protagonisti, infatti, nemmeno la Svezia rappresenta la conclusione del loro viaggio, ma è soltanto l’inizio di uno nuovo, che passa attraverso l’emarginazione, la solitudine, la paura di vedere il proprio visto stracciato e di non poter più riabbracciare i propri famigliari.
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